C'è un ippopotamo rosa che sembra voglia dire, sembra voglia sapere, sembra voglia piangere, ma null'altro può che stare tra le sue mani...
I giocattoli hanno un forte potere di comunicazione. Mi capita spesso passeggiando di vederli nei giardini arrovesciati e sparsi qua è là. Ed è un grido silente d'infanzia, risate acute di bambini in sordina, che hanno svoltato l'angolo della cucina per piombare nel silenzio della nanna, quando il sole brucia l'erba e rimbalza sull'asfalto. Di quei bimbi che poco prima erano lì, ad osservare le nuvole tra i loro fantastici colori, spesso sul giallo, rosso e blu. E sull'erba, immobili, restano a riflettere il sole dietro i cancelli e a ricordarmi dei vecchi tempi, i miei freddi, l'umido dei marciapiedi all'ombra, le mie risate, lombrichi e stivali sotto la pioggia.
Le sue lunghe braccia, lei, con mani tremanti stringe l'ippopotamo.
I giocattoli assorbono il sapore dei bimbi ed il loro profumo. Ascoltano le loro lacrime e l'avversione per quel loro esser muti per dispetto, perchè i piccoli sperano di poterli fare parlare un giorno magari, così, d'improvviso.
L'ippopotamo in primo piano.
Quel naso giallo era tra le sue manine.
L'ippopotamo sorride e ha dei baffi disegnati, ma sotto c'è la sua foto.
Sì, c'è anche Madeleine a sorridere in un campo da tennis con un ciuffo negli occhi e le palline sotto al mento.Sorride a noi tutti che la stiamo guardando, lei, in un'altro tempo, davanti a quell'obiettivo.
Quando ancora non sapeva... che avrebbe sorriso al mondo.
Al mondo spietato che l'ha portata via.
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