Certezze di Passaggio

lunedì 15 dicembre 2008
26 commenti
Sembrava una nuvola
-di passaggio-
a piovere gocce zuccherate
sulle corde dell'anima

caleidoscopio di gemme
stagliate sui riflessi
di un nastro nel vento

il nostro canto
sul profilo di un sorriso
danza nella penombra estiva
di una luna senza veli

se cambiano le stagioni
nei tamburi dei suoni
scrigni di silenzi

restano intatti gli entusiasmi
nel cielo delle emozioni
a legare tra le stelle
queste notti in mezzo al cuore



-gemi**-




Keishia & Bluewhitedreams


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Qualcosa di me

sabato 6 dicembre 2008
10 commenti
Un palco e poi un pò d'amarezza nel cuore. Ci sono tra di noi occhi, occhi chiusi dentro un altro mondo, nel nostro mondo. A scatola cinese, gli uni dentro gli altri e talvolta... non ci si comprende. Chi crea leggi, chi le distrugge. Chi nuota alla deriva senza più un tronco per galleggiare, anche se fa freddo, anche se il mare non tiene il peso, anche se il mare inchioda all'onda. Occhi che non cercano nulla, se non quella minima percezione dell'essenza dell'anima, la noce dentro al guscio, il battito del cuore, l'emozione che nasce e resta muta all'ombra, perchè nella corsa sul filo s'accascia all'estremità... e non sfocia.
Gesticolavano sul palco e poi leggevano testimonianze, mentre sulla sedia 18 i miei pensieri viaggiavano in prima. E sentivo e non potevo...
e sentivo
e non potevo.


«Dal momento in cui oltrepassa il muro dell'internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale; viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione. Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell'individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell'internamento. L'assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l'essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l'aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che – proprio in quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell'asilo» 

(Franco Basaglia, 1964)
 




Franco Basaglia è l'inizio di un rapporto con chi sta sotto quella conchiglia. Non più elettroshock, cinghie, aghi e sieri, ma un approccio umano, perchè è essere umano, chi dorme e sogna come noi... cambiando riga, cambiando pagina, dentro un altro solfeggio mentre perde la via e cerca di sè, con le mani dentro al buio.
Uno psichiatra che abbracciò le correnti inglesi del modello della "comunità terapeutica" di ispirazione fenomenologica ed esistenziale (Jaspers, Minkowski, Binswanger), senza pregiudizi terapeutici, ma più libertà nell'addentrarsi nei meandri psicologici e psicofisici della persona.


Tante parole come coltellate, fotografie di vita vissuta... cappotti appesi, scale, camicie di forza e braccia strette sotto le ascelle.
Angoli.
Ginocchia. Muri. Pavimento.
Fredde nudità... Questa la condizione di chi poi veniva da considerare una mente perduta.
Eppure non era così. Non è così.


Sensazioni, bombe a mano dentro me.


E poi il mio angioletto. Occhi celesti come il nonno, a mani in tasca taglia la scena e spacca il silenzio con una poesia. La luce lo segue fino al leggio, dove in un respiro musicale lancia parole ad effetto.


E' splendida Lori e sei grande tu, per tutto quello che sei, per tutto quello che fai.
Grazie di avermi reso partecipe a questo spettacolo/denuncia.


Ti voglio bene cugino/fratello... e lascio qui, tra questi miei pensieri, quella tua vera, grande POESIA.








Farò


e scriverò sull’acqua le mie poesie
per non lasciare traccia alcuna di me
per cancellarmi dalla memoria
per finire dimenticato


dopo un’esistenza sbiadita
passata nell’indifferenza
cadere nell’oblio
per non avere affermato il mio Io


e canterò nel vento le mie canzoni
che porterà lontano la mia voce
per non farla udire ad alcuno


e griderò controvento la mia disperazione
per far si che le parole
si soffochino nella gola
ancora prima di esprimere un lamento


e piangerò amaramente
nel silenzio di un angolo
dove nessuna carezza
potrà consolare le mie lacrime


e rigetterò ogni conforto
ogni parola amica
per vivere pienamente
ogni momento di dolore


e non farlo pesare ad anima alcuna
che amica sostiene
e nel dolore ti allevia


e piangerò sotto la pioggia
di modo che nessuno veda le mie lacrime
senza un ombrello, camminerò sconfitto
sotto lo scroscio fitto


e costruirò un muro
per nascondere i miei sentimenti
dove scriverò che ti amo


alzerò uno sguardo al cielo
nella notte stellata
dove vedrò il tuo volto
che dolce io amo







 

Scrivi, tu che lo sai fare... e non smettere di farlo mai.



Con l'affetto che sai,
Francy

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Sedici e Venti

mercoledì 3 dicembre 2008
10 commenti

E c'era la neve
quel giorno
col manto di marmo
nel volto del gelo


a passi spenti
dentro il ricordo
dalle lacrime
a grani di cristallo


Gli angeli accanto
tagliavano le mie vene
e mi chiedevano
silenzi senza senso


Nell'avanzo dei respiri
svuotata dai tuoi occhi
annegavo per la strada
che hai costruito


TU


Dentro il mio inverno
dietro al cancello


alla soglia degli anni
di piombo e guerre


Dentro l'amore
senza tempo da salvare


in quel soffio d'aprile
di capelli da smuovere


Dentro i miei polmoni
di vita da vivere


tu


senza mai gabbiani
liberi sopra al mare


dentro le foto
nei sorrisi da bere


Ora
che ne sarà
di un altro Natale


a candele spente
inchiodate all'altare


con le mie parole
appese alle cerniere
per le mani che non ho


 



-ai miei occhi celesti-
per sempre
in me
con me
dentro me,


ciao nonno







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